Ruggero Pozzer - attività politica e istituzionale | ||||||
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Trento, 3 febbraio 2010 La riforma provinciale della scuola prevede l’eliminazione delle ore di educazione fisica dal quinto anno di tutti i percorsi della scuola superiore, pur con l’aggiunta delle stesse nel biennio. La giustificazione, affermata dall’assessore Dalmaso in consiglio comunale a Rovereto, esprime la valutazione che durante l’ultimo anno delle superiori gli alunni sarebbero concentrati per gli esami di maturità e trascurerebbero l’educazione fisica. Insegnando io nella scuola media ho dovuto riportare tale affermazione a colleghi delle superiori, ricevendo conforto. Nella quinta superiore i ragazzi cominciano ad acquisire quella maturità che permette loro di affrontare la materia sportiva con maggiore impegno e serietà. È proprio in quest’ultimo anno che l’attività motoria scolastica risulta preziosa, per fissare concretamente abitudini e modalità che poi persisteranno per l’intera vita. In quest’ultimo anno gli alunni, grazie all’acquisita disciplina, riescono a seguire percorsi di lavoro motorio con estrema serietà e finalizzando gli obiettivi. Per assurdo sarebbe forse meglio pensare di togliere ore al biennio piuttosto che da questo importantissimo anno finale. Ma anche nel biennio l’educazione motoria è importantissima perché ci si trova ancora in piena fase adolescenziale di sviluppo psicofisico. Siamo gli ultimi d’Europa in campo educativo motorio e si sperava finalmente nella istituzione della terza ora settimanale in ogni ordine e grado. Sembra ancora non importare a chi detta gli indirizzi educativi, se avremo giovani curvi, svogliati, pigri, indolenti e candidati ad un precoce utilizzo delle risorse pubbliche sanitarie. Esiste poi la concreta possibilità (che mi si dice già presentata come opportunità oggettiva) che le tre ore, inserite nel biennio, vengano poi ridotte a due grazie a scelte del Collegio Docenti, possibili con la flessibilità scolastica. In tal modo potremo definire l’educazione fisica veramente «becca e bastonata». L’illogica diminuzione dell’educazione motoria sta avvenendo anche nella scuola media. Tanti Istituti Comprensivi stanno gradualmente facendo la scelta di ridurre le ore di educazione motoria settimanali, in uno dei tre anni di scuola media. Per metà anno scolastico questi alunni svolgono una sola ora di educazione motoria settimanale. Nel pieno dello sviluppo; nell’età in cui è riconosciuta indispensabile l’attività motoria come mezzo per ritrovare l’identità che la crisi puberale fa vacillare. Nel momento in cui l’azione motoria riesce ad aiutare i giovani nella riscoperta di se stessi e nella progressiva acquisizione di autonomia e sicurezza. Assurdo e pazzesco ma è quello che purtroppo decidono tanti Collegi Docenti, forse inconsapevoli del danno che recano ai loro alunni. Esiste poi il momento della scuola elementare, coinvolgente l’età più delicata dello sviluppo evolutivo. Da tre anni in Provincia viene svolta l’educazione motoria in quinta elementare, condotta dagli insegnanti di educazione fisica. È una sperimentazione che ci viene invidiata da tutta Italia, dove da decenni si discute di questo indispensabile traguardo, senza giungere a nulla. Lo scopo era quello di testare l’iniziativa e poi espanderla alle classi inferiori (quarta, poi terza e così via). Nessuno ne parla e la paura è che l’allargamento alle classi inferiori non sia una priorità. Contestualmente la Provincia invita i Comuni ad aderire ai progetti presentati dal Coni per la scuola. Da comitato olimpico con finalità agonistiche questo ente vorrebbe trasformarsi in istituzione educativa. Il problema è che non lo è; le sue legittime priorità sono le vittorie. Questi progetti vanno ad inserire nelle scuole elementari i tecnici delle federazioni sportive, anziché coloro che dopo anni di studio all’Isef o in Scienze Motorie hanno fatto dell’insegnamento una precisa scelta professionale. Non è un errore da poco per alcuni motivi principali. L’insegnante ha una preparazione didattica specifica e collabora con il Consiglio di Classe nella realizzazione complessiva del Piano Formativo; l’allenatore opera una azione estemporanea e non programmata collegialmente. L’insegnante ha come finalità l’educazione motoria; l’allenatore della società ha come finalità il reclutamento a fini agonistici. L’insegnante dedica maggiore attenzione ai più deboli; l’allenatore, per sua natura, dedica prioritariamente la sua attenzione ai più capaci. L’insegnante opera una valutazione pedagogica del discente; l’allenatore non ha i requisiti e le capacità e può limitarsi alle valutazioni tecnico sportive (ma l’educazione non è una gara). L’insegnante, anche grazie al vincolo valutativo, può richiedere un particolare impegno all’alunno anche se l’argomento formativo non è particolarmente gradito, ma utile; l’allenatore deve inventare sempre una lezione «divertente» per mantenere un buon livello di attenzione. L’insegnante conduce autonomamente la lezione; l’allenatore deve lavorare in compresenza con il maestro responsabile, creando in tal modo il raddoppio dei costi per l’ente pubblico che deve remunerare due persone, per svolgere il lavoro di una sola. Perché dunque si incentiva tale scelta? Il mondo sportivo è fucina di consensi elettorali. Nell’era dello scadimento di valori, forse anche la scuola può essere messa in vendita. Ruggero Pozzer
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